ORIGINE DEL SISTEMA SOLARE

Cenni Storici
Dettagli di una zona della Nebulosa Laguna.L'origine del Sistema Solare è uno dei problemi più appassionanti della scienza. Il primo interrogativo sull'origine del Sistema Solare si deve al filosofo francese René Descartes, il quale nel 1629 attribuì il moto generale dei pianeti al residuo del movimento vorticoso della nube di gas da cui essi si sono formati.
Successivamente altri studiosi, in particolare I. Kant (partendo da un'idea di T. Wright) e P.S. De Laplace, sostennero anch'essi che i pianeti si erano formati all'interno di una nube di gas e polveri in rotazione sotto l'azione combinata della forza di gravità e della forza centrifuga, responsabile quest'ultima dell'appiattimento della nube.
Il modello di Kant-Laplace è stato alla base della teoria di Safronov-Hayashi (1972), in cui la massa del disco protoplanetario è qualche % della massa solare e si condensa in "grani" di massa crescente nel tempo.
Analizzando il decadimento degli isotopi radioattivi si è scoperto che l'età dell'intero Sistema Solare è quella delle meteoriti e delle rocce lunari più vecchie, cioè 4.6 miliardi di anni.

La nube primordiale e la formazione stellare
Attualmente nel Sistema Solare l'85.7% del momento angolare totale, pari a circa 10 51gr*cm2/s, risiede nel moto orbitale di Giove e Saturno, circa il 13.4% nel moto orbitale degli altri pianeti, mentre lo 0.5% nel moto di rotazione del Sole.
Meno dello 0.5% del momento angolare totale è associato al moto orbitale del Sole attorno al centro di massa del Sistema Solare.
Tale trasferimento del momento orbitale dal giovane Sole ai pianeti è, in gran parte, dovuto alla turbolenza ed ai moti casuali dei gas e delle polveri del disco protoplanetario.
Un altro meccanismo di trasporto di momento angolare è fornito dai getti di molecole ionizzate uscenti dai poli della nebulosa verso il mezzo interstellare e in parte guidati sul disco dalle linee di forza del campo magnetico presente.
immagine che mostra la composizione del Sistema Solare
Poichè le nubi molecolari giganti sono composte prevalentemente da polveri (1% della massa totale) e da molecole quali H2 e CO, e quindi hanno una densità di 101-1010 particelle per cm3, per superare gli effetti di diffusione dovuti ai moti termici, e causare la contrazione della nube stessa, le temperature non possono superare poche decine di gradi Kelvin. Influenzano la contrazione della nube il suo campo magnetico, la sua rotazione ed i moti turbolenti presenti al suo interno; anche le interferenze esterne, come collisioni fra nubi molecolari, onde d'urto provenienti da una supernova ed onde di pressione che attraversano le regioni di formazione (Teoria di Lin), possono contribuire all'insorgere della contrazione.
La Nebulosa planetaria Eta Carina, a 8000 anni luce da noi. Essendo la rotazione delle nubi molecolari così lenta (P = 5x106 anni), la forza centrifuga è trascurabile rispetto all'autogravità ed ai gradienti di pressione che determinano l'equilibrio della struttura, in questo modo la rotazione non riesce a contrastare il collasso.
Affinché la contrazione della nube possa avvenire, occorre che la massa della materia contenuta nella nube superi un valore minimo, detto massa di Jeans, al di sopra di tale valore critico, s'innesca il processo di contrazione gravitazionale.
La prima parte del processo di contrazione è caratterizzata dal fatto che la temperatura della nube rimane costante (collasso isotermo); la nube resta trasparente alla sua stessa radiazione (nube otticamente sottile), questo perchè l'energia potenziale gravitazionale liberata durante il collasso può essere irraggiata mantenendo costante la temperatura.
Man mano che la contrazione procede la densità della nube aumenta, infatti dalla relazione di Jeans si deduce che la massa limite è inversamente proporzionale alla densità, dovendo essere la temperatura costante segue che all'aumentare della densità il valore della massa limite deve diminuire. Conseguenza diretta di ciò è che alcune parti della nube hanno un valore della massa superiore a quello critico, quindi iniziano a contrarsi separatamente e la nube va incontro ad un processo di frammentazione.
Se la contrazione fosse solamente isoterma, come supposto fino ad ora, il processo di frammentazione non si arresterebbe, ma la densità crescente nelle varie regioni in cui la nube originaria si è frammentata rende tali regioni opache alla propria radiazione (zone otticamente spesse), impedendo un irraggiamento efficace dell'energia potenziale gravitazionale.
La prima descrizione teorica del processo di formazione del Sole è stata formulata da Larson.
In sintesi i modelli teorici suddividono la formazione stellare in tre fasi:
  1. fase preliminare: dominata dal campo magnetico (diffusione ambipolare);
  2. fase protostellare: dominata dalla gravità (evoluzione dinamica);
  3. fase di pre-sequenza principale: dominata dalla gravità e dalle reazioni nucleari (regime di equilibrio idrostatico).
I modelli teorici trovano riscontro nelle osservazioni realizzate nelle diverse bande dello spettro elettromagnetico: ogni banda viene utilizzata per indagare diversi tipi di fenomeni
  1. banda radio a lunghezze d'onda millimetriche: formazione di nuclei densi;
  2. banda infrarossa e radio: fenomeni di "infall" ed "outflow";
  3. banda infrarossa: stelle con dischi di accrescimento.
Immagine infrarossa presa dal telescopio Hubble della stella HD141569, nella costellazione della Bilancia, a 320 anni luce da noi
Dettaglio di un 'pilone'di formazione stellare nella Nebulosa dell'Aquila; si vedono chiaramente il fenomeno della fotoevaporazione, dell'erosione e gli EGG che resistono all'erosione. Con il telescopio spaziale Hubble sono state ottenute delle immagini eccezionali delle nebulose Aquila, Orione, Trifida e Tarantola, che mostrano le fasi iniziali del processo di formazione delle stelle all'interno di nubi molecolari. In esse si evidenza il fenomeno della fotoevaporazione; tale "erosione" trova resistenza solo negli Evaporating Gas Globules (EGGs); è da questi globuli si formano le protostelle. Molto interessanti in questo senso sono le stelle T Tauri. Getti di materia dalle stelle giovani HH1 e HH2.

La formazione dei pianeti
La nebulosa primitiva possedeva una lenta rotazione quando, ancora composta di gas e polveri, generò al suo interno grandi condensazioni (nubi oscure o molecolari).
Immagine di un Globulo di Bok della Nebulosa LagunaDurante il collasso la rotazione della nube viene accelerata perchè, per il teorema della conservazione del momento angolare, la velocità angolare finale deve essere proporzionale all'inverso del quadrato del raggio della nebulosa.
L'energia gravitazionale liberata durante il collasso provocò il progressivo riscaldamento delle zone centrali della nebulosa che diventarono forti sorgenti infrarosse, i globuli di Bok, e in breve tempo al centro della nube si produssero le condizioni di temperatura (T circa 106 oK) e di pressione tali da permettere l'innesco delle prime reazioni nucleari e la formazione della stella. La radiazione prodotta dalla stella neonata riscaldò la nebulosa circostante facendo passare allo stato gassoso molte delle polveri presenti e provocando la ionizzazione degli elementi con potenziale di ionizzazione inferiore a quello dell'idrogeno.
Il campo magnetico (circa 1 Gauss), già presente nel Sole, impedì che questi elementi collassassero nella protostella, contrariamente ai materiali non ionizzati che, a causa del campo gravitazionale, furono attratti verso di essa.
Per effetto della rotazione della nube il materiale ionizzato si propagò lungo il piano perpendicolare all'asse di rotazione del sistema, formando un disco circolare, sottile e molto appiattito. Questo fenomeno, detto accrezione, determinò una distribuzione di massa non omogenea: i materiali più leggeri raggiunsero l'attuale orbita di Nettuno, mentre quelli più pesanti rimasero nella zona centrale. In questo stadio il Sole, in cui era ancora concentrato quasi tutto il momento angolare del sistema, era una massa informe in contrazione al centro del disco ed il gas che si accumulò sul piano equatoriale, ad una certa distanza dal Sole, era ancora complessivamente ionizzato.
Stelle giovani in una zonda della Nebulosa di Orione; 4 stelle sono circondate da gas e polveri che formano dei dischi protoplanetari da dove probabilmente si formeranno dei pianeti.
Al termine del collasso, in seguito a contrazioni, attrazioni e collisioni, si formarono cumuli di particelle, detti planetesimi, che, agglomerandosi, produssero dapprima piccoli corpi (di pochi centimetri), poi corpi più grandi fino a giungere alle dimensioni del km.
Successivamente in ogni zona della nube il corpo più grande crebbe più rapidamente degli altri e diede origine a una grande massa sferica detta protopianeta.
Durante le collisioni i protopianeti assorbirono i contributi dei momenti angolari dei corpi minori, iniziando ad avere i moti rotatori attorno ai propri assi.
Inclinazione degli assi di rotazione dei pianeti rispetto al piano della galassia

All'esterno di Marte l'influenza gravitazionale di Giove ha impedito la formazione di un pianeta, lasciando solo dei piccoli corpi che, collidendo, si sono ulteriormente frammentati in asteroidi.

Evoluzione Chimica
Il Sistema Solare non è una miscela omogenea di elementi: man mano che ci allontaniamo dal Sole aumentano gli elementi volatili, questo indica che nella nebulosa doveva esserci una forte differenza di temperatura fra il centro e i bordi, inoltre la temperatura molto elevata vicino al Sole fece volatilizzare gli elementi più leggeri, il vento solare e la pressione di radiazione li fece allontanare; questo comportò che i pianeti più vicini al Sole si formarono da materiale prevalentemente metallico e roccioso di alta densità, mentre quelli più lontani dal Sole si formarono da composti più leggeri, ghiacci e roccia.
Immagini prese da Hubble di getti di materia persi da stelle giovani.Le osservazioni sugli oggetti Herbig Haro (HH) ci informano che le stelle giovani, come era allora il Sole, tendono a perdere massa rapidamente per il crearsi di un forte vento stellare in grado di spazzare via le polveri rimaste nel mezzo interplanetario e le atmosfere primitive dei pianeti interni.
Durante le prime fasi di formazione del Sistema Solare, la temperatura del materiale proto-planetario scendeva regolarmente passando dal centro alla periferia. A circa 50 milioni di chilometri dal centro, dove si è formato Mercurio, la temperatura sfiorava i 1200 oK, quindi solo minerali refrattari come silicati, titanati, alluminati e alcuni ossidi potevano condensarsi allo stato solido.
Tutti gli altri composti e elementi restarono allo stato gassoso e vennero lentamente, ma inesorabilmente, spinti verso l'esterno dal vento di particelle e dalla pressione della radiazione emanati dal Sole. Mercurio si è formato perciò senza acqua, ammoniaca o metano, ma ricco di ferro, nichel, silicio, alluminio.
Qualcosa di analogo è accaduto a Venere, la cui temperatura in fase di formazione era leggermente superiore ai 700 oK, e per la Terra, che si è formata in una regione dove la temperatura era attorno a 550 oK; a queste temperature potevano resistere e condensarsi composti meno stabili dei precedenti: solfuro di ferro e alcuni carbonati sono quindi entrati nella composizione di questi pianeti e di quelli successivi. I carbonati hanno rivestito una grande importanza nell'attività vulcanica di questi pianeti e nell'edificazione delle rispettive atmosfere.
La Nebulosa Bolla, nella costellazione Cassiopea (6 anni luce da noi); la bolla è causata dallo scontro tra la materia in quiete della nebulosa e il vento stellare a 2000 km/s prodotto dalla stella centrale (40 volte il Sole).
La temperatura superficiale di Venere è sempre rimasta superiore ai 700 oK. In queste condizioni l'acqua è rimasta tutta nell'atmosfera, dove i raggi ultravioletti del Sole l'hanno decomposta, l'idrogeno prodotto da questa decomposizione non essendo trattenuto si è disperso nello spazio, mentre l'ossigeno è rimasto e ha ossidato la crosta del pianeta.
Nel caso della Terra la temperatura aumentò, per effetto della contrazione gravitazionale, dell'impatto di meteoriti e del decadimento degli isotopi radioattivi; in queste condizioni il pianeta, fondendo, si differenziò: gli atomi più pesanti migrarono verso il centro a formare un nucleo di alta densità, quelli più leggeri "galleggiarono" formando la crosta. In seguito la temperatura della crosta terrestre scese gradualmente fino a circa 300 oK.
Successivamente il nostro pianeta ha avuto, quasi sempre, una temperatura superficiale ed una pressione atmosferica adatte all'esistenza dell'acqua liquida, acqua portata anche dai planetesimi di tipo cometario, ricchi di elementi volatili. Nell'acqua si è potuta sciogliere l'anidride carbonica che, in seguito, è entrata nei cicli biologici, finendo anche intrappolata nelle rocce e producendo i composti carboniosi.
Tutto fa pensare che la nascita della vita sul nostro pianeta sia stata favorita dalla sua evoluzione chimica, determinata a sua volta dalla sua particolare storia termica.
Marte si è formato in una zona della nebulosa con una temperatura di circa 450 oK e segna il confine dei pianeti rocciosi e aridi, in quanto già nella successiva regione (detta fascia asteroidale) si sono formati corpi a volte ricchi d'acqua, come le condriti.
Su Marte l'acqua attualmente è presente allo stato solido, permeata nel terreno.
I pianeti interni del Sistema Solare in ordine.
I pianeti giganti sono sorti nelle regioni esterne della nebulosa protoplanetaria, dove la temperatura era inferiore allo zero della scala centigrada e l'acqua si trovava allo stato solido. Una volta raggiunte le dimensioni attuali, qualche centinaio di milioni di anni dopo l'inizio della contrazione, i pianeti sono stati dominati da processi chimici in qualche modo "personalizzati".
Ad esempio Giove, che nacque al confine tra le due regioni, poté utilizzare sia il materiale solido refrattario che il ghiaccio, ed è per questa ragione che esso assunse rapidamente una massa così elevata da riuscire a trattenere col suo campo gravitazionale tutti i componenti volatili della nebulosa.
I pianeti che si formarono all'esterno di Giove derivarono da più ampi volumi di nebulosa, la cui densità però diminuiva così rapidamente che essi poterono raccogliere sempre meno materia. Nelle regioni periferiche infatti i planetesimi assomigliavano a nuclei cometari, ricchissimi di sostanze volatili solidificate dalla bassa temperatura.

La Nebulosa planetaria Pistol, con al centro la stella massiva che l'ha creata
Evoluzione futura
Per quanto riguarda il futuro del Sistema Solare esso è strettamente legato al futuro del Sole. La teoria dell'evoluzione stellare prevede che il Sole possa restare in sequenza principale per altri 5 miliardi di anni; una successiva fase evolutiva abbastanza rapida rappresenterà la fine dei pianeti di tipo terrestre: infatti il Sole si trasformerà in una gigante rossa ed inghiottirà entro la sua superficie Mercurio,Venere, la Terra e forse Marte.
In questa fase la sua luminosità aumenterà di circa 100 volte, il vento solare, milioni di volte più intenso dell'attuale, investirà anche i pianeti esterni causando in essi drastici cambiamenti. Dopo circa 500 mila anni il mantello esterno del Sole sarà disperso nello spazio interstellare formando una nebulosa planetaria e resterà solo il nucleo del Sole, sotto forma di nana bianca.
Il Sistema Solare, privo di adeguate fonti di energia, sarà presumibilmente costretto ad una inesorabile e lenta fine per raffreddamento.
Un esempio di come potrebbe diventare il nostro Sole è dato dalla Nebulosa Occhio di Gatto di cui il telescopio spaziale Hubble ci ha fornito immagini dettagliate della zona centrale.
Gli involucri concentrici che si notano nell'immagine hanno una massa pari a circa un centesimo di massa solare e sono stati emessi dalla stella centrale al ritmo di uno ogni 1500 anni. Si è anche rilevato che circa 1000 anni fa l'emissione della stella morente è cambiata improvvisamente, divenendo da gassosa a polverosa, come testimoniano diverse immagini prese dal 1994 al 2002.
Nebulosa planetaria Occhio di Gatto.

Il sistema Glese 229, la stellina più piccola al centro è la nana bruna Gliese 229B, osservata dal telescopio Hubble nel novembre 1995.
Pianeti e nane brune
Concludendo si può dire che i pianeti sono quei corpi in cui, a causa della massa insufficiente (M<0.013 MSole), le reazioni termonucleari non riescono ad "accendersi".
Per masse comprese fra 0.013 MSole e 0.075 MSole si hanno le cosiddette nane brune, che differiscono dai pianeti sia per il processo di formazione che per la fonte della loro temperatura superficiale.
I pianeti si originano nei dischi di accrezione delle stelle, mentre le nane brune seguono lo stesso processo di formazione delle stelle, ma, non avendo massa sufficiente, non raggiungono, nel nucleo, la temperatura per innescare i processi nucleari per convertire l'idrogeno in elio.
La temperatura esterna delle nane brune deriva, non solo dalla contrazione gravitazionale, come per gran parte di quella dei giovani pianeti, ma dalla fusione del deuterio in elio 3, e, per quelle di almeno 0.060 MSole, dalla fusione del litio.

 

Tabella riassuntiva sul Sistema Solare

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© Loretta Solmi, 2011